Facile DEPERIBILITA’ del pesce

pesce

 

Il pesce, rispetto alle carni degli animali da macello, è più deperibile; ciò sta a significare che i processi alterativi si sviluppano con estrema rapidità. Tale caratteristica è dovuta a una serie di fattori, riportati qui di seguito.

Basso contenuto di tessuto connettivo. Le carni dei pesci, rispetto alle carni dei mammiferi, sono dotate di una maggiore tenerezza che le rende più facilmente esposte alla penetrazione di microrganismi dagli strati più esterni verso l’interno. Tale effetto è dovuto a un maggior contenuto d’acqua, a discapito del tessuto connettivo, e a una struttura molecolare delle proteine meno “addensata” rispetto a quella presente nelle carni degli animali da macello .

Presenza di composti azotati non proteici. Essi sono presenti, nei muscoli dei pesci, in quantità da tre a cinque volte superiore rispetto alle carni dei mammiferi. Tali composti, una volta degradati per azione di enzimi intrinseci al muscolo o di origine microbica, danno origine a sostanze responsabili del rapido scadimento delle caratteristiche sensoriali, ossia del tipico odore di pesce non più fresco. Fra queste sostanze spicca la trimetilammina (TMA). Quest’ultima si forma a partire dal suo precursore, l’ossido di trimetilammina (TMA-O) contenuto nel plancton, ed è utilizzata come parametro chimico per valutare la freschezza del pesce: fino a 4-6 mg di TMA/100 g di muscolo il pesce è ancora fresco; oltre 10 mg di TMA/100 g di muscolo il pesce emana odore di stantio e va considerato non più fresco.

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Elevato valore di pH post mortem. La maggior parte dei pesci ha una percentuale di carboidrati molto bassa nelle proprie carni; tale percentuale (che generalmente è inferiore allo 0,5) fa sì che la glicolisi anaerobia, che si instaura dopo la morte dell’animale, produce ridotte quantità di acido lattico. Di conseguenza nel pesce non si registra quella acidificazione delle masse muscolari che è tipica, invece, dei vertebrati a sangue caldo e i valori di pH risultano sempre superiori a 6,0 o di poco inferiori. Questi livelli di concentrazione idrogenionica, naturalmente, non sono in grado di contrastare in nulla lo sviluppo microbico.

Lunga agonia che precede la morte. Il pesce in vita presenta le proprie masse muscolari sterili o poco inquinate e muco superficiale, branchie e intestino con una carica microbica elevata. La sterilità delle carni viene perduta al momento della pesca; quando i pesci cadono nelle reti o vengono tolti dall’acqua, infatti, si instaura un forte stato di stress che provoca la paralisi delle cellule deputate a impedire la diffusione dei germi nelle masse muscolari, con conseguente contaminazione e innesco di fenomeni alterativi.

Le alterazioni compaiono quando finisce la fase del rigor mortis, per cui si tende a prolungare il più possibile questa fase. Gli effetti da esse prodotti possono essere molteplici; le alterazioni infatti possono influire negativamente su proprietà nutrizionali nonché fisiche del pescato. Ma il danno di più immediata percezione da parte del consumatore è, senza alcun dubbio, lo scadimento delle qualità sensoriali del pesce; esso è articolato in tre fasi, che si susseguono:

inizialmente il prodotto perde il tipico odore “di pesce fresco”, di per sé caratteristico;

segue una fase neutra, in cui non si avverte alcun odore particolare;

solo in una terza fase comincerà a farsi via via più evidente l’odore di “stantio” che è tipico del pesce ormai non più fresco.pesce-grande

Si deve precisare, tuttavia, che nelle primissime fasi la variazione delle caratteristiche organolettiche del pescato è da attribuire essenzialmente a fenomeni enzimatici di tipo autolitico, propri della muscolatura del pesce, che non sono direttamente correlati a una proliferazione microbica. I primi, tuttavia, favoriscono la seconda.

È opportuno, a questo punto, focalizzare l’attenzione sulla flora microbica dei pesci che, come detto, riveste non poca importanza ai fini dell’alterabilità dei prodotti ittici. Essa, così come per molluschi e crostacei, si distingue in due differenti tipologie: la microflora indigena o autoctona e la microflora esogena o alloctona.

I germi appartenenti al primo gruppo sono presenti nel pesce in natura e si concentrano soprattutto in muco superficiale, branchie e intestino con cariche rispettivamente di 102-107 UFC/mq, 103-107 UFC/mq e 101-107 UFC/g. La loro presenza, inoltre, è condizionata dall’habitat naturale e dalle abitudini di vita degli animali.

In particolare nei pesci di acque temperate e calde essi sono generalmente batteri Gram-negativi aerobi o aerobio-anaerobi facoltativi (Pseudomonas, Moraxella, Acinetobacter, Flavobacterium, Xanthomonas, Vibrio marini) e Gram-positivi (Bacillus, Corynebacterium, Micrococcus e altre coccacee, lattobacillacee).

Nei pesci d’acqua fredda predominano microrganismi Gram-negativi psicrotrofi nel muco superficiale (essenzialmente Pseudomonas, Alteromonas e Shewanella) e Gram-positivi nel contenuto intestinale (Clostridium spp.).microbiota1

Dunque è proprio la differente flora microbica autoctona a influire sullo scadimento qualitativo dei pesci, naturalmente a parità di tecnologia conservativa adottata. Ciò spiega il motivo per il quale, ponendo un filetto di pesce pescato in acque calde sotto ghiaccio (ridotto in piccoli frammenti), la conservabilità risulta superiore rispetto a pesci provenienti da acque fredde e sottoposti al medesimo trattamento.

Per quanto concerne invece la microflora esogena del pescato, essa è costituita da quelle specie microbiche tipiche della sfera terrestre (contenuto gastroenterico di uomo e animali terrestri, humus del terreno, acque dolci superficiali), con le quali i pesci possono venire a contatto perché vivono vicino alle coste e risentono della presenza di scarichi fognari di grandi agglomerati urbani. A questo secondo gruppo appartengono i microrganismi potenzialmente patogeni per l’uomo come Salmonella spp., Listeria monocytogenes, Vibrio enteropatogeni, Clostridium botulinum, virus enterici, E. coli enteropatogeni, Shigella spp., Aeromonas spp., ceppi enterotossici di Staphylococcus aureus e Bacillus cereus.

http://www.pubblicitaitalia.com/ilpesce/2003/1/4327.html

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