Linee guida, più dubbi che chiarezza

Numerosi lavori pubblicati in questi ultimi anni su autorevoli riviste scientifiche sottolineano che i requisiti minimi di una LG, sui quali nessuno apertamente dissente (multidisciplinarietà, valutazione sistematica della letteratura come base delle deliberazioni e graduazione delle raccomandazioni in funzione della cogenza delle prove che le sostengono) sono raramente soddisfatti.

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La definizione dell’Institute of Medicine delle LG («raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni di esperti, con lo scopo di aiutare i medici e i pazienti a decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche»), se da un lato aiuta a definire alcune caratteristiche e finalità delle linee guida, non pone nessun vincolo o regola per quanto riguarda i modi di produzione. Non deve quindi stupire che – a differenza di quanto si vedrà per le conferenze di consenso e il metodo dell’appropriatezza – esistano prodotti differenti che, pur essendo considerati tutti ugualmente come esempi di linee guida, rappresentano il risultato di processi tra loro molto diversi.

Ci si imbatte così in linee guida che altro non sono se non un tradizionale libro di testo su un determinato argomento (privo di qualunque riferimento a metodi di produzione e spesso anche privo di bibliografia) oppure in rappresentazioni molto schematiche di processi di diagnosi o cura espressi mediante diagrammi di flusso senza riportare i risultati della revisione critica necessaria delle prove scientifiche che li giustificano.

Se le linee guida rappresentano delle «raccomandazioni di comportamento clinico» per trattare nel modo migliore il malato affetto da determinate malattie, è corretto ritenere automaticamente in colpa il medico che se ne sia discostato nella sua pratica clinica?

La risposta al quesito che precede non può che essere negativa, anche nella ipotesi di linee guida correttamente elaborate, adeguatamente diffuse e generalmente condivise nella pratica. Le linee guida fanno infatti riferimento a un paziente astratto, non a quel «particolare» paziente che il medico deve in concreto curare, con la sua complessità clinica e la sua specificità patologica.

… la responsabilità della scelta del trattamento da praticare compete al medico che ha in cura il paziente e, quindi, spetta al sanitario verificare se nel caso di specie si deve seguire l’indicazione contenuta nella linea guida ovvero è opportuno discostarsene a ragion veduta. Le linee guida non sono infatti vincolanti per legge e, quindi, non sussiste alcun obbligo di automatica applicazione. Le linee guida, se correttamente interpretate, non deresponsabilizzano quindi il medico, ma rendono invece più evidente il suo dovere di motivare le scelte dei comportamenti di cura.

Fonte: PNLG dell’ ISS.

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