Fame, appetito, sazietà: che equilibrio!
La regolazione dell’appetito è il risultato di un perfetto equilibrio derivante dall’azione di diversi neurotrasmettitori, che svolgono la loro azione senza l’intervento volontario del soggetto.
Tre sono le variabili che intervengono per determinare l’inizio, la fine e il volume del pasto: fame, appetito e sazietà.
La fame, fattore essenziale della sopravvivenza, è all’origine dei segnali che indicano il bisogno di mangiare; non è vincolata ad un determinato alimento.
L’appetito, espressione del desiderio di mangiare uno o più alimenti specifici per determinate esigenze biologiche o per piacere, è accentuato da segnali di stimolazione sensoriale esterni (visiva, olfattiva, uditiva, gustativa), da condizionamenti ambientali, psicologiche e familiari.
Sazietà s. f. [dal lat. satiĕtas -atis, der. di satiare «saziare»]. L’essere, il sentirsi sazio; pieno appagamento del desiderio e del bisogno di cibo e di nutrimento (Treccani).
La regolazione della fame è un fenomeno molto complesso. I meccanismi che l’organismo utilizza per regolare l’assunzione del cibo sono vari, e si ammette l’esistenza di un sistema di regolazione altamente sofisticato, localizzato nel cervello (prevalentemente nell’ipotalamo) e descritto dal modello di Teitelbaum e Stellar.
Secondo questo modello, nell’ipotalamo vi sono due centri distinti che regolano la fame e la sazietà, il “Feeding Center” e il “Saziety Center”.
Il “Feeding center”, costituito dal nucleo dell’ipotalamo laterale (LHA) che se eliminato causa l’anoressia.
Il “Saziety center”, costituito dal nucleo ventromediale (VMN) e dal nucleo paraventricolare (PVN) che se eliminato causa obesità.
I suddetti centri ipotalamici sono in collegamento con altre strutture (corteccia cerebrale, sistema limbico, sistema nervoso autonomo), ricevono segnali esterni (ambientali) ed interni, e rispondono verso tali stimoli.
I segnali regolatori interni sono molteplici e comprendono:
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fattori metabolici quali i livelli ematici di glucosio (l’ipoglicemia stimola l’assunzione di cibo), di lipidi (i corpi chetonici e i prodotti catabolici degli acidi grassi deprimono l’assunzione), di aminoacidi (triptofano), di vitamina B e di zinco;
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fattori ormonali di origine gastrica (peptidi simil-bombesina), intestinale (colecistochinina), pancreatica (glucagone, insulina, amylina);
- fattori neurogenetici (legati alla distensione gastrointestinale);
- fattori termostatici (temperatura corporea).
La sazietà specifica può essere definita come la sensazione di sazietà a cui arriviamo in relazione ad un alimento appena mangiato, ma che non percepiamo necessariamente per altri alimenti che non sono ancora stati mangiati.
Questo spiega perché nei pasti costituiti da molte piccole portate si tende a mangiare di più rispetto a quelli con una sola portata, anche se abbondante!
O come quando siamo in pizzeria e ne lasciamo un pezzo perché ci sentiamo pieni e poi non esitiamo ad ordinare un buon dolce al cucchiaio.
L’indice di sazietà considera la capacità di un cibo (o prodotto) di soddisfare l’organismo durante il pasto (appagamento) e di calmare il senso di fame nel tempo (sazietà).
Per ogni 100 gr, varia tra 0 e 500. Se l’indice dell’alimento è vicino allo zero, le capacità di soddisfazione risultano basse. Se invece è vicino a 500, il senso di sazietà aumenta.
Questo calcolo complesso si basa sul valore energetico dell’alimento o del prodotto e sui suoi componenti nutritivi (percentuale di proteine, lipidi, glucidi e fibre). E’ chiaro quindi che un alimento calorico e grasso (cioccolato, olio, burro…), da un senso maggiore di sazietà rispetto a un alimento magro (anguria, acqua…) che al contrario sazia di meno.