Latte A2 vera bontà o solo marketing?

latte e mucca

In Australia e in alcune zone dell’Africa la maggioranza delle mucche sono di razze che producono un latte denominato A2, leggermente diverso dal latte A1 consumato nella maggior parte degli altri paesi. La differenza tra i due tipi di latte è dovuta alla mutazione avvenuta nel DNA delle mucche europee circa 80 secoli addietro: mutazione nella posizione 67 dell’aminoacido istidina (A1) con prolina (A2) nella catena dei 209 aminoacidi della beta-caseina.

Questa piccola differenza, secondo i sostenitori del latte A2, lo renderebbe più digeribile e privo di tutte quelle responsabilità mai dimostrate (aumento dei casi di diabete tra i bambini occidentali, allergie, intolleranze, scarsa digeribilità, rischio di malattie cardiovascolari). Purtroppo per i sostenitori del latte A2 nulla è scientificamente dimostrato.

Le mucche che producono latte A2 sono quelle più “antiche”.

Facciamo un po’ di storia degli eventi.

Nel 1993 Corran McLachlan e Bob Elliot, due ricercatori neozelandesi, pubblicarono uno studio secondo cui dalla scissione delle proteine del latte A1 si formerebbero alcune sostanze infiammatorie per l’intestino ed in particolare la beta-casomorfina 7 o BCM-7 in grado di provocare intolleranze ed eczema, diabete e altre patologie. Con il latte A2 non si avrebbe la formazione di BCM-7 risultando più digeribile.

Nel 2000, Corran McLachlan e un miliardario del settore alimentare, Howard Paterson, fondano A2 Milk Company (A2MC) detentrice del marchio globale, con l’idea di conquistare il mercato neozelandese e australiano.

Nel 2007, Keith Woodford, stimato docente di agraria della Lincoln University della Nuova Zelanda, pubblica “Il diavolo nel latte: malattie, salute e politica di A1 e A2”, demonizzando il latte A1. Si saprà poi che era azionista di A2MC.

La pubblicazione del libro costrinse la New Zealand Food Security Authority e la europea EFSA ad aprire un dossier sull’argomento ma nel 2009 la EFSA evidenzia la scarsa qualità scientifica e la inaffidabilità degli studi sull’argomento. In particolare i bias metodologici poiché nella maggioranza delle ricerche la sostanza sospetta, e cioè la BCM-7, è stata iniettata e non assorbita per via orale come avviene con il latte.

Nel 2014 lo European Journal of Clinical Nutrition pubblicò uno studio che dimostrava una minor incidenza di dolore addominale con l’utilizzo di latte A2. Lo studio era sponsorizzato dalla A2 Milk Company.

La situazione è ancora poco chiara dal punto di vista della scienza e nel gennaio 2017 la rivista americana The Atlantic pubblicando un articolo sull’argomento prova a fare un po’ di chiarezza in quello che si sta profilando come un grande business fondato sulle paure irrazionali di una parte dell’opinione pubblica.

Il latte A2 in Europa è un prodotto di nicchia ma in Australia è presente in ogni supermercato, e negli Stati Uniti sta conquistando ingenti quote di mercato molto in fretta suscitando discussioni e polemiche non essendoci valida documentazione scientifica sui suoi reali benefici.

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