CARCIOFO (Cynara), conosciamolo meglio

Il carciofo (Cynara cardunculus var. scolymus) è un’erba perenne originaria del bacino del Mediterraneo. Analogamente ad altre specie, tra cui lo zafferano, anch’essa deriva dalla domesticazione di una pianta selvatica (nella fattispecie il cardo, C. cardunculus var. sylvestris) avvenuta molto probabilmente in Sicilia, nel I secolo a.C. Il nome deriva dal latino cinis, cineris (il fertilizzante usato) e dal greco skolymos (cardo).

La produzione italiana rappresenta il 40% di quella mondiale, con ben 510.141 tonnellate annuali di raccolto. Sono varietà precoci quelle coltivate soprattutto in Puglia (16.930 ettari), Sicilia (14.800 ettari) e Sardegna (13.630 ettari). In Campania (2.012 ettari), Lazio (1.058 ettari) e Toscana (548 ettari), invece, sono diffuse le varietà tardive. Le varietà sono numerose e vengono classificate in base a tre criteri.

  • Periodo di fioritura: distingue le varietà in precoci e tardive.
  • Presenza o assenza di spine: spinose o inermi
  • In base al colore: verdi o violette

Quella che definiamo testa, e che ci fa letteralmente impazzire in cucina, non è altro che l’infiorescenza immatura del carciofo. Come in tutte le Asteraceae, l’infiorescenza è definita capolino e ha l’aspetto di un unico grande fiore, che differisce nell’aspetto in relazione alle varietà di appartenenza.

Il capolino del carciofo è formato da un involucro di brattee (foglie modificate, con funzioni protettive) che racchiude i flosculi, cioè i fiori ermafroditi di colore azzurro o violaceo. Visibili con l’apertura delle brattee, i flosculi possiedono un calice setoloso (pappo) necessario per disperdere i frutti (acheni) nel vento. Flosculi e brattee s’inseriscono nel ricettacolo, la parte rigonfia e carnosa del capolino.

La parte edule del carciofo è il cuore (fiore del carciofo e peluria o pappo non sono commestibili ), che rappresenta il 35-55% del capolino ed è formato dalle brattee interne, tenere e carnose, e dal ricettacolo.

Il carciofo contiene: fibre, zuccheri, sali minerali, vitamine (A, B3, B5, B6, C), inulina, polifenoli, (antociani, flavoni, derivati dell’acido caffeico).

Tra i flavoni i più abbondanti sono la luteolina e i suoi derivati, quali cinaroside e scolimoside, ma sono presenti anche l’apigenina e i suoi derivati; mentre tra i derivati dell’acido caffeico i più abbondanti in assoluto sono l’acido clorogenico e la cinarina.

L’inulina è un polimero del fruttosio (uno zucchero semplice contenuto nel miele e nella frutta) che viene immagazzinato nelle cellule vegetali, in organuli definiti vacuoli. Il carciofo ne è particolarmente ricco, tant’è che può rappresentare fino al 75% dei carboidrati totali, con differenze legate sia alla varietà, sia allo stadio di maturazione del capolino.

L’inulina è una fibra prebiotica, cioè un carboidrato non assimilabile, che favorisce lo sviluppo di uno o più batteri della flora intestinale. Una volta ingerita, infatti, essa raggiunge il colon inalterata (perché non disponiamo degli enzimi capaci di digerirla) dove viene metabolizzata dai Bifidobatteri (Kaur and Gupta, 2002). I benefici sono ascrivibili, appunto, allo sviluppo selettivo di questi ultimi (effetto bifidogenico) e si esplicano attraverso vari meccanismi.

Gli acidi acetico, propionico e butirrico, o SCFA (Short Chain Fatty Acids), ottenuti dalla fermentazione dell’inulina ad opera dei Bifidobatteri, favoriscono la regolarità intestinale e mantengono in salute le cellule del colon.

I Bifidobatteri, inoltre, inibiscono lo sviluppo dei microrganismi patogeni con le seguenti azioni:

  • rilasciano le batteriocine, molecole di natura proteica ad azione battericida;
  • sottraggono i substrati (cioè le fonti nutritive) ai patogeni, perché numericamente superiori;
  • aderiscono alla mucosa intestinale, stimolando le difese immunitarie dell’ospite.

Gli effetti eupeptici sono ascrivibili al fitocomplesso in toto, che aumenta la produzione della bile (effetto coleretico) e la sua secrezione (effetto colagogo). Una volta secreta nel duodeno, dunque, la bile facilita la digestione dei grassi e accelera il transito intestinale.

Mentre in cucina si usano i capolini immaturi, in fitoterapia si usano le foglie basali presenza di cinaropicrina e altri lattoni sesquiterpenici. Oltre a questi ultimi, il fitocomplesso include flavoni (luteolina, apigenina e loro glicosidi) e derivati dell’acido caffeico (acido clorogenico e cinarina), presenti in concentrazioni superiori di quelle caratterizzanti i capolini.

Benché promettenti, i dati raccolti negli studi riguardanti gli effetti sul metabolismo dei grassi non sono sufficienti per confermarne l’efficacia clinica. Gli studi a disposizione, infatti, si sono avvalsi di tecniche ed estratti non standardizzati; per non parlare, poi, del numero di partecipanti, che era piuttosto esiguo. Di conseguenza, si rendono necessarie indagini più rigorose per chiarire la questione.

Infine è bene sapere che quantunque gli estratti di carciofo sono generalmente sicuri e ben tollerati, sono controindicati nei seguenti casi:

  • gravidanza, allattamento e sotto i 12 anni, per mancanza di studi relativi alla sicurezza;

  • patologie del fegato e delle vie biliari, perché potrebbe peggiorarne i sintomi;

  • allergie alle Asteraceae, cioè la famiglia di appartenenza del carciofo.

Fonte: http://inchiostrovirtuale.it/carciofo/

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